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Gli omicidi di Falcone e Borsellino nella trattativa tra Stato e Mafia

Gli omicidi di Falcone e Borsellino nella trattativa tra Stato e Mafia
Autore: Editoriale del Direttore - Emilia Urso Anfuso
Data: 01/07/2018

Il 1992 è stato, per l’Italia, un anno carico di eventi importanti e tragici. Tra Maggio e Luglio del 1992, i giudici Falcone e Borsellino persero la vita in due diversi attentati di mafia: Giovanni Falcone morì insieme a sua moglie Claudia Morvillo e gli agenti di scorta, il 24 Maggio 1992.

Paolo Borsellino, fu ucciso – sempre in un attentato di mafia – il 19 Luglio dello stesso anno, e con lui cinque agenti di scorta.

Nello stesso anno, l’Italia ebbe come premier Giuliano Amato, il premier del prelievo forzoso – del 6x1000 - sui conti correnti, operato nella notte del 9 Luglio 1992. Questa operazione, fruttò alle casse dello Stato ben 5.270 miliardi. Per sanare i conti pubblici, fu detto.

Il giorno dopo – era il 10 Luglio – il governo vara una maxi manovra economica di 30.000 miliardi. La motivazione: sempre il risanamento dei conti pubblici.

Passa ancora un giorno, e l’11 Luglio 1992, l’Italia si sveglia con quattro importanti privatizzazioni: quelle di Eni, Ina, Iri ed Enel. I quattro enti pubblici, vengono trasformati in S.p.A.

Nel frattempo, era nata la diatriba – lanciata da Bettino Craxi – sui finanziamenti illeciti ai partiti, proprio lui, che fu condannato a 10 anni per questo reato. Nel febbraio del 1992, era stata avviata l’inchiesta denominata “Mani pulite” retta da Antonio Di Pietro, che – nelle intenzioni che si palesarono all’epoca – avrebbe dovuto davvero dare una grande ripulita alla corruzione in ambito politico.

La storia ci riporta invece, come “Mani pulite” servì solo a far suicidare qualche industriale,  come Raoul Gardini, patron di Ferruzzi-Montedison e di Gabriele Cagliari, presidente dell’Eni, che furono trovati morti in circostanze comunque sospette.

Gardini, il giorno del suicidio, doveva recarsi a parlare coi magistrati di Mani Pulite, per chiarire meglio la sua posizione in merito a un’importante tangente – tre miliardi di lire – che era stata versata alla DC di Forlani. Gardini in realtà, sperava fortemente che mettendosi totalmente a disposizione della magistratura, avrebbe potuto evitare una condanna. Morto. Trovato morto nel suo appartamento, dopo aver fatto colazione, con un colpo della sua pistola Walter Ppk, 65 ficcato in testa…

Per quanto riguarda il suicidio di Cagliari, che si trovava in carcere per una maxi tangente di ben 37 miliardi di lire distribuita a tutti i partiti politici nazionali, fu trovato nei bagni di San Vittore, morto per soffocamento a causa di un sacchetto di plastica legato intorno al collo con lacci per scarpe. Cagliari, in quei giorni, sperava invece di ottenere gli arresti domiciliari, ma nello stesso periodo, era stato arrestato Salvatore Ligresti, che prometteva di collaborare fornendo versioni decisamente contrastanti con quelle di Cagliari.

Ma se Cagliari, in realtà, sperava di arrivare intanto agli arresti domiciliari, per quale ragione avrebbe dovuto suicidarsi in carcere? Si disse “per la vergogna, per non aver retto allo scandalo”. Si disse.

Insomma: il 1992, fu un anno ricco di eventi particolari. Sta di fatto, che dei miliardi tirati su a palate tra legge finanziaria e prelievo forzoso, il debito pubblico e i bilanci dello Stato non ebbero alcuna sanata. Anzi. Proprio nel 1992 infatti, il debito pubblico ebbe un’ulteriore impennata, come si evince dal grafico sottostante.

 

Non solo: dopo il fugace governo Amato, durato un solo anno, i successivi due – presieduti da Ciampi e Berlusconi – continuarono col trend in crescita relativamente al debito pubblico e ai conti dello Stato.

Insomma: da un lato sembrò si volesse esercitare un repulisti del sistema di corruttela tra politica, Stato, servizi segreti e industria, ma in effetti, furono eventi che evidenziarono come in Italia si stesse in qualche modo riorganizzando l’assetto corruttivo che peraltro era in stretta relazione con la mafia.

Falcone e Borsellino in mezzo. Con le loro inchieste e indagini, coi loro documenti segreti ma non tanto, con i pentiti di mafia, e con la prospettiva di poter davvero dare una svolta a due criteri particolarmente sensibili per l’Italia e gli italiani: far emergere il sistema mafioso, ma far emergere – anche – i rapporti tra mafia e Stato.

Probabilmente, e ribadisco PROBABILMENTE, le morti dei due magistrati sono state fortemente volute da tutti, per non rischiare che potesse davvero trapelare la collusione tra lo Stato, la politica, l’industria e la mafia. Inoltre, se le ingenti risorse ottenute dallo Stato nel 1992, non hanno di fatto sanato nemmeno un poco il disavanzo del debito pubblico e i bilanci dello Stato, questo denaro, come fu impiegato in realtà?

C’entra qualcosa la trattativa tra Stato e Mafia? E ancora: la trattativa davvero prevedeva la fine delle stragi? O si trattò di trattative che comprendevano altro, come ad esempio appalti, gestione delle elezioni, decisioni importanti per la nazione, anche e soprattutto per ciò che riguarda il settore industriale?

E ciò che accade oggi, con le prime pagine di ogni quotidiano, che titolano sul fatto che – a 26 anni dalla strage di Via D’Amelio – si mettono sotto inchiesta gli investigatori, con l’accusa di aver depistato le indagini? Si pone sotto inchiesta chi operava, non chi decideva e dava ordini. A mio parere, è questo il vero depistaggio.

Il Colonnello dei Carabinieri Sergio De Caprio, il cui alias (più conosciuto) è Capitano Ultimo, e il collega Colonnello Mario Mori, dopo aver realizzato l’arresto di Totò Riina, passarono sotto le maglie della giustizia, con l’accusa di non aver collateralmente fatto effettuare la dovuta perquisizione del covo di Riina.

De Caprio addusse questa motivazione: erano ancora in atto le indagini, e De Caprio al periodo, si avvaleva della collaborazione del pentito Salvatore Di Maggio, elemento che - in cambio della scarcerazione - si infiltrò nelle maglie dell'organizzazione mafiosa, riportando puntualmente a De Caprio e a Mori, informazioni utilissime.

Palesare alcune azioni, come ad esempio la perquisizione del covo, aveva – a detta del Capitano Ultimo– un effetto dannoso per il proseguio delle indagini. Promise quindi di tenere sotto stretta sorveglianza l’intero stabile in cui si trovava il covo di Riina, salvo poi far rientrare l’ordine. Chi ha deciso cosa? Il Colonnello De Caprio? O…? Chi ha deciso cosa, e perché?

E’ questo l’anello mancante in tutta questa storia. Chi ha ordinato cosa a chi. E a 26 anni dalla strage di Via D’Amelio, gli unici atti – desecretati lo scorso anno – sono quelli relativi alla montagna di documentazioni realizzate grazie al lavoro di Falcone e Borsellino. Non hanno desecretato nulla di ciò che in 26 anni è emerso, o si sapeva già molto bene, di quanto fosse accaduto e perché. Non si è mai venuto a sapere chi ha sottratto l’agenda rossa di Borsellino e perché.

Sono gli stessi interrogativi che si pongono - ora - i magistrati della Corte di Assise di Caltanissetta, che sostengono come, la strage di Via D'Amelio sia uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana. Ecco cosa pensano i magistrati: "È lecito interrogarsi sulle finalità realmente perseguite dai soggetti, inseriti negli apparati dello Stato, che si resero protagonisti di tale disegno criminoso, con specifico riferimento ad alcuni elementi". Gli uomini dello Stato chiamati in causa sono alcuni investigatori del gruppo Falcone e Borsellino guidati dall’allora capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera: dovevano scoprire i responsabili delle bombe, invece costruirono a tavolino alcuni falsi pentiti. La corte non crede per ansia di giustizia e di risultato. No. Vennero suggerite a Scarantino un insieme di circostanze del tutto corrispondenti al vero"

Nulla di ciò che sarebbe utile alla comprensione, e che è evidentemente nelle conoscenze di una certa magistratura, dei servizi e dello Stato, è dato sapere, quindi. Nessuna sete di giustizia, solo operazioni volte a coprire i fatti reali.

Resterà quindi sempre il dubbio su chi ha ordinato la morte di Falcone e quella di Borsellino. Resterà il dubbio che siano stati scelti non tanto per una dimostrazione muscolare di forza da parte della mafia, quanto per un bieco inscenare una diatriba – forse  inesistente - tra Stato e mafia. Intanto, si continua a indagare sugli investigatori ma non sui mandanti delle indagini e delle stragi. Una situazione al contrario…

Ovviamente, tutto ciò è solo frutto di supposizioni. Come in altri grandi casi italiani, e come diceva un vecchio amico campano, “La verità, non la sapremo mai”.

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